Il counseling invita a una riflessione in merito alla pratica medica nell’epoca della tecnica e della globalizzazione, obbliga a una rivalutazione del ruolo del medico e delle politiche in tema di salute evidenziando la direzione verso cui devono essere orientati i processi di cura.
Assistiamo a una crescente diffusione del counseling in ambito sanitario. Le motivazioni di questa affermazione sono molteplici, e riguardano i pazienti, i professionisti della salute, nonchè l’intero sistema delle cure. Il bisogno di un ascolto attento e complessivo, è testimoniato da un lato, dall’ aumento dell’interesse degli utenti per la medicina e le pratiche non convenzionali – notoriamente più attente alla relazione terapeuta-paziente – dall’altro, dall’incremento delle conflittualità e del contenzioso con risvolti anche giudiziari, tra pazienti e sistema delle cure. Gli utenti esprimono con maggiore determinazione l’esigenza di una assistenza efficiente, attenta alla patologia in atto, e contemporaneamente non dimentica della persona che la testimonia. Dall’altro lato i professionisti avvertono il peso di richieste pressanti e complesse, a volte difficilmente esaudibili. Spesso si sentono oberati da problematicità collaterali che sovente accompagnano le sofferenze dei pazienti, ritengono che il contorno esistenziale della malattia. (leggi di più)
Anche se esiste un fortissimo intreccio tra medicina e filosofia, fino a che punto è giusto introdurre e declinare il concetto delfico conosci te stesso nella pratica medica? In buona sostanza fino a che punto è lecito filosofeggiare di fronte ad una precisa richiesta d’intervento sanitario, rischiando così di eludere l’istanza d’aiuto per volgere lo sguardo altrove? Indubbiamente la filosofia è la medicina dell’anima, ed è altrettanto vero che la scienza antica, compresa quella medica, si è strutturata su un impianto essenzialmente filosofico.
In occasione della malattia spesso emergono domande difficilmente eludibile : perché proprio a me, che sarà della mia vita ora. Gli interrogativi fondamentali della vita si fanno più pressanti e intrusivi quando ci ammaliamo, e spesso si accompagnano ad ansia, paura, sconforto. In tali occasioni è utile è aiutare il malato ad esserci momento dopo momento; sostenerlo a costituirsi un baricentro più solido dove fare leva per affrontare i provvedimenti terapeutici. Facilitarlo rendendo più densa la sua presenza di fronte al problema. L’obiettivo non è la scoperta dei massimi sistemi che regolano se stessi e magari l’universo, bensi è l’osservazione attenta di quel che succede, con il fine di generare una maggiore responsa Soltanto una sincera vicinanza medico-paziente può facilitare la comprensione della specifica realtà vissuta, e soltanto una relazione di qualità può far emergere spiegazioni veritiere e provvedimenti appropriati. Aiutare è indispensabile, come essere aiutati, ma si corre sempre il rischio di essere invasivi, o di sostituirsi all’altro nell’assunzione di responsabilità, inibendone così le capacità di scelta.Chi soffre viene spesso esonerato dal fidarsi del proprio potenziale di auto guarigione. E’indispensabile valutare questa inestricabile ambivalenza insita in tutte le relazioni d’aiuto. Monitorandola e operando gli opportuni correttivi per salvaguardare il principio di autonomia del malato, anche in un contesto nel quale s’impongano urgenti provvedimenti terapeutici.
Pertanto il compito del professionista, è quello di creare condizioni facilitanti l’espressione delle risorse interne, astenendosi da qualunque giudizio o valutazione.